Palazzo Reale di Caserta, Sala degli Alabardieri.
Il trionfo delle Armi borboniche.

Domenico Mondo (1723-1806)

di Mario Epifani, da Dizionario Biografico Treccani

 

Nacque a Capodrise, presso Caserta, il 12 maggio 1723 da Marco e da Irene Giannattasio. Il padre era un illustre letterato e giureconsulto; sono noti i suoi contatti con eruditi napoletani quali M. Egizio, nonché con pittori della cerchia di F. Solimena. Proprio nella prolifica bottega di quest’ultimo il M. si formò, negli ultimi anni di attività del maestro. Il silenzio di B. De Dominici – che non lo inserisce tra i pur numerosi allievi di Solimena da lui citati nelle Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, date alle stampe tra il 1742 e il 1745 – induce comunque a ritenere che l’ingresso del M. in quella scuola non sia avvenuto prima del quinto decennio del secolo (Campanelli, p. 9).

Gli anni in cui il M. frequentò la bottega di Solimena sono quelli del ritorno del maestro alla grande tradizione della pittura barocca napoletana di M. Preti e L. Giordano, dopo un lungo periodo di avvicinamento al classicismo romano di C. Maratti. Il «tenebrismo» e la pittura fortemente macchiata di questa fase estrema della produzione di Solimena – da cui presero le mosse altri suoi allievi, come G. Bonito e G. Cestaro – caratterizzano le prime prove del Mondo. Siglata e datata 1747, anno di morte del maestro, è la pala con S. Marco e la Fede nella chiesa di S. Andrea a Capodrise; per lo stesso edificio, sua chiesa parrocchiale, il M. eseguì negli anni successivi altre tre pale d’altare, l’ultima delle quali (Madonna col Bambino e i ss. Andrea e Giovanni Evangelista) firmata e datata 1757. Il debito nei confronti del maestro è esplicito nel caso dell’Assunta, ripresa puntuale di quella dipinta da Solimena nel 1708 per la napoletana chiesa del Carmine.

Un’evoluzione stilistica è già ravvisabile in queste prime opere, scalate nell’arco di un decennio: il chiaroscuro intenso e drammatico, in cui figure scultoree creano composizioni monumentali tutte giocate sul primo piano, lascia progressivamente spazio a una più complessa costruzione spaziale degli sfondi, nonché a brani di fragrante naturalismo.

Al principio del sesto decennio è databile l’Assunzione della Vergine in S. Maria Assunta a Recale, ancora nel Casertano; il dipinto, liberamente ispirato alla pala di Solimena nel duomo di Capua, appare stilisticamente affine a un disegno della Società napoletana di storia patria, che costituirebbe pertanto la prima testimonianza grafica del M. pervenuta.

Con un corpus di oltre 150 fogli, il M. s’impone come uno dei più prolifici disegnatori del Settecento napoletano, al punto che la sua grafica ha incontrato il favore della critica e del mercato più della sua pittura; in virtù di una produzione tanto copiosa nei disegni, è possibile seguire il suo percorso stilistico forse più agevolmente che attraverso i dipinti. Si tratta quasi esclusivamente di studi a penna, largamente e abilmente ritoccati a biacca e acquerello, il cui effetto estremamente pittorico dichiara una spiccata vocazione per il momento puramente inventivo, ovvero per quella fase del processo creativo cui il M. sembra essere stato più interessato: la sua eccellenza nell’«invenzione» è infatti ricordata nella prima biografia pervenuta, scritta quando il M. era ancora in vita (Orlandi). È verosimile che egli concepisse almeno parte dei suoi disegni come opere fini a se stesse e non come semplici studi preliminari a un dipinto (Campanelli - Funel, p. 63). L’originalità e l’eleganza dello stile grafico del M. fanno di lui, a buon diritto, «il più brillante dei solimeneschi napoletani» (Vitzthum, p. 38).

Risale al 1752 la prima commissione documentata del M. a Napoli. Si tratta significativamente di un’opera grafica, ovvero del disegno per un’incisione con il ritratto di Diego Pignatelli d’Aragona, posto nel frontespizio della Relazione di una celebrazione tenutasi nella chiesa dei Ss. Apostoli in memoria del suddetto Pignatelli, duca di Terranova e Monteleone, morto nel 1750; il M. si ispirò verosimilmente al ritratto di don Diego dipinto da Solimena intorno al 1730.

 Nello stesso volume, pubblicato a Napoli nel 1753, è contenuto un sonetto che rappresenta l’esordio letterario del Mondo. Presso i suoi contemporanei egli era infatti altrettanto noto come poeta d’occasione che come pittore: sua è una Scelta di rime bernesche raccolte in un manoscritto nel quale sono riportate, come estremi cronologici, le date 1778 e 1787. Le Rime dovettero tuttavia essere composte in un arco di tempo molto più ampio, almeno dall’inizio dell’ottavo decennio, a giudicare da alcuni riferimenti biografici in esse contenuti; ulteriori dodici liriche sono databili agli anni 1789-1802 (Zazo; Campanelli, p. 26). Il modello del M., dichiarato già nel titolo, è la poesia satirica di F. Berni, che peraltro conobbe una vasta fortuna nel Settecento; non mancano tuttavia garbati componimenti di sapore arcadico (Zazo, p. XXXVII). Le occasioni che diedero origine alle Rime sono le più disparate, dal volo di Vincenzo Lunardi su un pallone aerostatico, avvenuto a Napoli nel 1789 (ibid., pp. 202-205), all’arrivo nel Regno del generale Gioacchino Murat nel 1802 (ibid., p. 214). Il carattere per lo più autobiografico di queste liriche, di cui spesso è indicato il destinatario, è estremamente utile per capire quali fossero le amicizie del Mondo.

Nel 1754 il M. effettuò un viaggio di istruzione a Roma, come attestano le lettere che il padre gli scrisse in quell’anno da Napoli: sappiamo dunque che frequentò l’Accademia di Francia e che ebbe modo di visitare le collezioni di antichità capitoline.

Il padre lo sollecitava a procurarsi riproduzioni incise della Galleria Farnese consultandosi col «sig. Benefiani», verosimilmente M. Benefial, pittore notoriamente polemico nei confronti dell’ambiente accademico. La notizia dell’acquisto di una stampa della Morte di Germanico di N. Poussin sembra tuttavia confermare l’immagine di un pittore desideroso di formarsi su solide basi classiciste; è peraltro verosimile che a Roma il M. abbia studiato attentamente anche le opere di S. Conca e di C. Giaquinto, entrambi formatisi a Napoli nell’orbita di Solimena, nel tentativo di temperare le suggestioni accademiche con una pittura più sensuale, creando la sua caratteristica «cifra stilistica che non fu mai rocaille, ma che neppure avrebbe mai compreso il neoclassicismo» (Campanelli, p. 16).

Nel 1755, di nuovo a Napoli, terminò la pala con L’opera di misericordia del vestire gli ignudi per l’altar maggiore di S. Giuseppe dei Nudi, oggi dispersa.

Con la morte del padre, nel 1761, iniziò per il M. un periodo di difficoltà economiche che lo accompagnarono fino alla morte. Almeno in parte, queste dovettero essere conseguenza di scelte non troppo oculate, come quella di eseguire quattro tele per la chiesa napoletana di S. Aspreno ai Crociferi, nel 1762, senza alcun compenso e probabilmente anche nel tentativo di farsi un nome: cinque anni dopo era ancora in corso una vertenza con i padri crociferi per il pagamento, conclusasi solo nel 1771.

Da un punto di vista stilistico, le tele di S. Aspreno (S. Pietro battezza s. Aspreno, La morte di s. Giuseppe, l’Incontro di s. Carlo Borromeo e s. Filippo Neri, S. Lucia visita il sepolcro di s. Agata) rivelano un avvicinamento alla declinazione arcadica della pittura di Solimena proposta da F. De Mura, che tuttavia si risolve in un risultato piuttosto freddo e accademico (ibid., p. 19). La tela raffigurante l’Incontro di s. Carlo Borromeo e s. Filippo Neri, basata su quella eseguita nel 1702 da Giordano per la chiesa dei Girolamini, conferma la costante ricerca sulle fonti barocche. Parallelamente, si fa più stretto il rapporto con Giaquinto, rientrato a Napoli nel 1762: attraverso lo studio delle sue opere, il M. recuperò la vaporosa eleganza di G. Del Po (Spinosa, 1967). Le affinità con Giaquinto hanno determinato in passato una certa confusione tra i due pittori, soprattutto per la produzione pittorica e grafica del M. tra il 1760 e il 1780 (Volpi).

Il M. risiedeva sicuramente a Napoli nel 1765, anno in cui nacque la prima figlia dal matrimonio con Teresa Giannattasio; la nascita di altre quattro femmine (l’ultima nel 1776), insieme con la decisione di vivere nella capitale, indubbiamente aggravò la sua già precaria situazione economica. Fu forse questa situazione a spingere il M. a riallacciare i rapporti con la propria terra d’origine, sullo scorcio del settimo decennio: a questi anni sono databili l’Immacolata e la Trasfigurazione nella chiesa del Ss. Salvatore di Recale e la decorazione di una sala del cosiddetto palazzo Mondo a Capodrise (che in realtà non fu mai residenza della famiglia del pittore). In queste opere si osserva una progressiva semplificazione formale, per esempio nel taglio quasi geometrico dei volti, addolcita tuttavia da una grazia e da un cromatismo ancora giaquinteschi.

Il ritorno nel Casertano fu probabilmente motivato anche dalle speranze del M. di essere coinvolto nel cantiere della reggia di Caserta, avviato nel 1752 sotto la direzione di L. Vanvitelli (cui, non a caso, il M. dedicò un sonetto nel 1770; Vitzthum, pp. 40 s.); l’architetto, di formazione romana, dovette del resto apprezzare la pittura del M., aggiornata sugli esempi dei «solimeneschi romanizzati» Conca e Giaquinto. L’avvicinamento del M. alla corrente classicista – attestato anche dalla sempre maggiore frequenza di temi moraleggianti tratti dalla storia antica nelle sue opere – si conformava al nuovo clima della corte di Ferdinando IV di Borbone e soprattutto ai gusti artistici della regina, l’austriaca Maria Carolina, sostenitrice di un rappel à l’ordre ben espresso dal tedesco J.Ph. Hackert, nominato pittore di corte nel 1786. In effetti, all’inizio dell’ottavo decennio il M. ottenne finalmente alcuni importanti riconoscimenti ufficiali: nel 1771 fece il suo ingresso nella Reale Accademia del disegno; l’anno seguente Vanvitelli lo chiamò a lavorare nel Palazzo reale di Caserta. Nonostante la scelta di edificanti temi classici – frequenti, nell’ottavo decennio, anche nei suoi componimenti poetici – e la «progressiva epurazione dalla "cicoria" rocaille del barocco di lontana derivazione giordanesca» (Campanelli, p. 27), il M. non si convertì mai del tutto alla corrente neoclassica, restando fedele a quella «macchia pittorica ardentissima» (Bologna, p. 152) di matrice solimenesca che caratterizza i suoi dipinti.

La morte di Vanvitelli, nel 1773, rallentò l’effettiva partecipazione del M. al cantiere di Caserta; viste le difficoltà nell’ottenere commissioni in patria, egli cominciò a valutare l’ipotesi di trasferirsi alla corte di Vienna, sperando nella protezione del ministro Johann Joseph von Wilzeck, cui era stato introdotto dall’influente amico e illustre storiografo casertano Francesco Daniele; le sue speranze tuttavia svanirono quando il ministro fu richiamato a Vienna nel 1778, benché il M. continuasse a supplicarlo nelle sue liriche (Zazo, pp. XXV-XXIX; Campanelli, pp. 27-30). Nel 1778 compose un capitolo per il conte C.G. Firmian (Zazo, pp. 172-174), già ministro imperiale a Napoli, poi trasferito a Milano; in esso sono descritti due dipinti per lui eseguiti ma non identificati. Finalmente, tra il 1778 e il 1780 il M. riuscì a portare a termine la decorazione della sala delle Dame nella reggia di Caserta, consistente in una serie di sovrapporte e sovraspecchi raffiguranti eroine dell’antichità. Nel 1781 sottoscrisse il contratto relativo all’esecuzione di una serie di tele destinate alla chiesa dell’Annunziata a Marcianise, portate a termine soltanto tra il 1787 e il 1788; nel frattempo (1785-87) affrescò il Trionfo delle armi borboniche sostenute dalle Virtù sulla volta del salone degli Alabardieri nella reggia casertana, composizione alquanto farraginosa – ispirata ad analoghi soffitti di Solimena, F. Celebrano e P. Bardellino – la cui elaborazione è documentata da diversi studi grafici e da un bozzetto oggi al Louvre di Parigi (Campanelli, pp. 31-36).

Intanto, nel 1784 era stato pubblicato da Daniele un volume su I regali sepolcri del duomo di Palermo, con frontespizio inciso da F. La Marra su disegno del Mondo. Negli stessi anni il M. eseguì pale d’altare per diverse chiese a Caserta (Madonna del Rosario e santi per la cappella della congrega del Rosario, attualmente in deposito nella reggia; Santa monaca nella chiesetta di S. Sebastiano) e nei dintorni (Arcangelo Michele nell’Annunziata di Capua; Madonna col Bambino, s. Giacomo e altro santo in S. Giacomo a Pollena Trocchia). Nel 1789 gli fu pagato un disegno per il frontespizio dell’Atlante marittimo delle Due Sicilie, commissione che però gli fu sottratta dai fratelli Hackert, supervisori dell’impresa, in favore del tedesco Ch.H. Kniep, artista prediletto da W. Goethe.

Nel 1789 morì il direttore dell’Accademia, G. Bonito: per accontentare sia il segretario Daniele, amico del M., sia la famiglia reale, favorevole al tedesco J.H.W. Tischbein, la direzione fu assegnata a entrambi i pittori. Benché la collaborazione tra i due fosse pacifica (Tischbein), il M. negli ultimi anni di attività restò ai margini della cultura ormai pienamente neoclassica che aveva preso il sopravvento a Napoli, ripiegandosi semmai sui modelli della sua giovinezza.

Lo dimostrano alcuni disegni, databili a questa fase, in cui sono copiati gli affreschi di Preti sulle porte delle mura di Napoli (Campanelli, p. 48). Mentre le sue condizioni di salute peggioravano, anche il tono della sua poesia si fece più stanco e mesto; nel 1799 scrisse due aspri sonetti contro il governo dell’effimera Repubblica Partenopea (Zazo, pp. 211 s.). È databile agli ultimi anni di vita un gruppo di fogli in cui favole mitologiche, studi accademici e temi religiosi sono trattati con lo stesso segno sfibrato e rarefatto, tra intense macchie di biacca e acquerello.

Il Mondo morì a Napoli il 10 gennaio 1806.

 

Fonti e Bibl.: P.A. Orlandi, Abecedario pittorico …, Firenze 1788, p. 1402; J.H.W. Tischbein, Dalla mia vita. Viaggi e soggiorno a Napoli, a cura di M. Novelli Radice, Napoli 1993, ad ind.; F. Bologna, Francesco Solimena, Napoli 1958, pp. 152 s.; M. Volpi, D. M. pittore «letterato», in Paragone, X (1959), 119, pp. 51-63; Disegni napoletani del Sei e del Settecento (catal.), a cura di W. Vitzthum, Napoli 1966, pp. 38, 40 s.; N. Spinosa, D. M. e il rococò napoletano, in Napoli nobilissima, VI (1967), pp. 204-216; M. Causa Picone, Disegni della Società napoletana di storia patria, Napoli 1974, ad ind.; A. Zazo, D. M.: un pittore che fu poeta e la sua scelta di rime, Napoli 1976; N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal rococò al classicismo, Napoli 1987, ad ind.; D. Campanelli, D. M. Un solimenesco in Terra di Lavoro, Napoli 1997; M. Landolfi, Marco e D. M. nella Napoli del Settecento, Caserta 1999; D. Campanelli - S. Funel, Ancora su D. M.: disegni da una raccolta napoletana, in Paragone, LII (2001), 39, pp. 60-82; E. Pagliano, De Venise à Palerme. Dessins italiens du Musée des beaux-arts d’Orléans XVe-XVIIIe siècle, Paris-Orléans 2003, pp. 207-209; Il pittore D. M. nei quadri dell’Annunziata di Marcianise e di altri siti del Casertano, a cura di N. Tartaglione, Napoli 2006; La Pinacoteca provinciale di Bari, I, Opere dal Medioevo al Settecento, donazione Pagnozzato e collezione del Banco di Napoli, a cura di C. Gelao, Roma 2006, pp. 268-270; M.V. Fontana, in Splendori del barocco defilato. Arte in Basilicata e ai suoi confini da Luca Giordano al Settecento (catal., Matera-Potenza), a cura di E. Acanfora, Firenze 2009, pp. 148, 255; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 58 s.